La Chiesa - Congregazione dell'Oratorio Acireale

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La Chiesa

Domus Orationis : “fresca, candida, serena oasi di pace”



Interno della Chiesa dell'Oratorio

 

Il padre Giuseppe Timpanaro parla della chiesa dell'Oratorio come di una piccola chiesa nitida e silenziosa, dalle molteplici colonne slanciate verso l'alto come giganti che pregano taciti, costituendo la guardia d'onore attorno al trono di Dio.
Effettivamente la chiesa dell'Oratorio nella sua semplicità è una chiesa assai bella; è tutta un'elevazione, come si evince dal sentire comune che si coglie nei suoi ammiratori di vari epoche.
Il fedele che vi entra sente il bisogno di pregare e di elevarsi a Dio, quasi rispondendo  a pieno a quel simpatico e semplice nome di Oratorio con il quale la si nomina e che in modo autenticamente filippino, rimanda al suo voler essere "Domus Orationis".


Espressione che porta scolpita nella facciata, sotto lo stemma di congregazione, e che inevitabilmente diviene luogo di identificazione per coloro che la frequentano.
Essa è dunque quella casa di preghiera dalla quale naturalmente si eleva la preghiera, intesa come dialogo fra Dio e l'uomo.
Proprio perché la chiesa dell'Oratorio, risponde alla sua indole naturale, essa voluta, da P. Mariano Patanè, fondatore della Congregazione dell'Oratorio in Acireale, è divenuta la chiesa di mons. Giambattista Arista, secondo fondatore della stessa Congregazione, nella quale ha profuso molti dei suoi beni familiari.
Varcare la soglia dell’Oratorio, entrando nel portico dalla via Angelo Raffaele o da via Filippini, è come ricevere in dono un anticipo di Paradiso.


La cordiale vivezza delle strade cittadine, che fanno corona al luogo sacro, cede ora il campo ad uno spazio che non è più solo terreno: l’unico legame dell’atrio col mondo terrestre è costituito dal cielo, che si scorge in alto, racchiuso dal  riquadro dei muri, posti ad avvolgere il sagrato. Quel cielo d’aria e di luce è l’immagine più limpida d’un’altra Luce e d’un’altra Purità.
E mirabilmente le facciate che guardano l’atrio si accordano a codesto simbolo: prive di orpelli come sono, promana da esse una chiarità che purifica, frutto della castità del disegno e della luminosità naturale della pietra. Il fronte della chiesa, poi, semplicissimo, ha sapore vagamente neoclassico e ci insegna in qual modo possa farsi buon uso dell’eredità “antica”: non v’è qui nessuno dei difetti: né “intellettualismo”, né freddezza, né spirito “laico”.


Lo spazio interno della chiesa non si articola in configurazioni complesse, ma si conforma in unica navata, quasi fosse il vano comune, familiare, di un’abitazione.
Una sicura pace risiede in questo spazio, sia che vi regni il silenzio, sia che vi squillino le grida dei fanciulli, che san Filippo sapeva tradurre in preghiera.
E d’altronde il fresco lindore delle facciate, tanto consono all’ingenuità dei piccoli, reca nell’atrio un tono festevole, pure quando il luogo è deserto.
La vera pace è silenziosa e gioiosa insieme. L'atrio, in fondo, non è dissimile dai cortili domestici di tutte le antiche case acesi, è il luogo familiare di incontro fraterno.


E ciò è segno d’un intento umile e cordiale, volto a riunire, appunto come in una casa, un’assemblea di cuori semplici, quelli che erano specialmente cari a don Mariano.
E codesta essenzialità dell’ambiente, che una luce serena e sommessa modella al mattino e al vespero, e all’ora meridiana si accende in gloria, riconduce spontaneamente alla memoria la chiesa domestica del primo cristianesimo.
Le cappelle laterali, che appena accennano un transetto, segnalano sì la dignità di alcune particolari e distinte funzioni liturgiche, ma non configurano alcuna frattura dell’unità della navata, alcun distacco, sicché al fedele, ogni articolazione dell’aula appare realmente far parte connessa nel tutto, ed egli si sente membro di una vera fraternità.

Potrebbe tuttavia sembrare al visitatore che le ultime note esauriscano il valore architettonico della forma interna della chiesa, riducendolo alla sua (mirabile!) domesticità, ma privandolo dei simboli dell’Ordine (“cosmico”) e della Maestà, che son propri di Dio. Così non è.
Provvidenzialmente, infatti, quel calore casalingo tanto confortante, che rischia però di divenire approssimativo e disperso, viene ora dall’architetto intelaiato, incardinato, in un ordine antico e limpido, che veramente può dirsi “cosmico”: le colonne, che recano insieme il vigore romano e la dolcezza corinzia, l’intercolunnio, e le altre componenti del linguaggio “classico” illuminano, conservano e nobilitano la cordialità familiare dell’ambiente, apportandovi fermezza, dignità, perfezione di forme, regolarità geometrica, slancio spirituale, limpidezza ideale, senso della gerarchia, aura di maestà.


Tale era, in verità, il significato profondo degli ordini architettonici: la loro autenticità sacra è salvaguardata dal senso vivo dell’agape fraterna e dal flusso spirituale scaturito dalla pietà del fondatore, sotto lo sguardo purificante d’un’immagine mariana, che è tra le più soavi (e veramente verginali) del territorio acese.
Un’autentica opera d’arte sacra non è (né può essere) il frutto di una elaborazione individuale dell’“autore”, ma in essa, misteriosamente, deve agire un vigore d’intelletto che trascende l’artefice.
E, nel nostro caso, lo strumento provvidenziale, che infondeva ardore spirituale alla mano degnissima dell’ingegner Francesco Di Paola Patané, e lo faceva trionfare su tutte le ambiguità della cultura architettonica europea ormai dissacrata, era la fede di P. Mariano.

Lascio infine a te svelare da solo, secondo la tua vocazione, i mille altri tesori spirituali disseminati dalla santità di don Mariano in questo luogo, che egli volle consacrato. E che consacrò con la sua vita.
Il fedele, se vi entri con cuore limpido, vi leggerà i segni dell’ humilitas, della puritas, della pietas, della simplicitas. E ne riceverà “abbondanza di ricchezze”.
E se ne mancasse prova, valga allora riferirsi, a mo’ d’esempio e di confronto, alla storia analoga dell’immagine della Madonna della Purità.
E ci si rammenti delle visioni estatiche, delle preghiere del servo di Dio, e quindi dei consigli e degli ammonimenti che egli rivolse al pittore: Alessandro Vasta non realizzerà più, con i suoi soli mezzi, un'altra opera così elevata. Il quale, degno senz’altro anch’egli, certo mai realizzò, coi suoi soli mezzi, altra opera tanto eletta.

A mons. Arista il culto nella nostra chiesa stava sommamente al cuore, e siccome egli nel tempio materiale vede raffigurato il tempio spirituale, ovvero l'anima del cristiano, volle che ne fosse accresciuto il decoro; così nel 1895, ricorrendo le feste centenarie della morte del santo padre Filippo Neri, chiese al Vescovo mons. Gerlando Maria Genuardi, che si degnasse di consacrarne la chiesa.

Fece inoltre rimuovere gli altari minori in legno per farne ricostruire altri in marmo; anche l'altare maggiore, in vetri dipinti, venne demolito e sostituito da uno nuovo in marmi scelti ove sono incastonati diversi bassorilievi, scolpiti in marmo bianco da G. Lo Gioco e un artistico tabernacolo in argento. In questo tempio egli passa lunghe ore a pregare, in esso celebra il Santo Sacrificio ed esercita il ministero della Confessione, annunziando ai fedeli la divina Parola. Tutto ciò è parte della più antica tradizione della nostra chiesa.
Il Vescovo annuì volentieri ed allora il padre Arista con la sua generosa operosità e con la partecipazione di persone pie fece dipingere da A. Mancini una bella tela in olio raffigurante la Sacra Famiglia e un'altra da P. Leonardi, raffigurante san Luigi Gonzaga che riceve la Prima Comunione da san Carlo.

Gli Altari Minori

                

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